Il mito di Cura
Mentre Cura stava attraversando un fiume, vide del fango argilloso. lo raccolse pensosa e cominciò a dargli forma. Mentre stava riflettendo sulla scultura plasmata, si avvicinò Giove.
Cura gli chiese di dare lo spirito di vita a ciò che aveva fatto e Giove acconsentì volentieri.
Ma quando cura pretese di imporre il suo nome alla creatura, Giove glielo proibì sostenendo che il nome doveva essere il suo, dato che gli aveva infuso la vita. Mentre Giove e Cura disputavano sul nome, intervenne anche Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché essa gli aveva dato il proprio corpo.
I disputanti elessero Saturno, il tempo, a giudice, il quale comunicò ai contendenti la seguente decisione:
“tu Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu cura che per prima diede forma a questo essere, finché esso vive, lo custodisca. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è stato tratto da humus”.
– Igino, Fabulae, I sec. d.C. –
Curare e prendersi cura:
Questo mito è stato anche ripreso dal filosofo Heiddeger nella sua opera Essere e Tempo, nella quale ha sottolineato come la cura dia forma all’uomo e sia anche ciò a cui appartiene tutta la vita.
La cura è quindi per Heiddeger una condizione intrinseca all’esistenza umana. Essa ci proietta “in avanti”, superando il “qui e ora”, donando dunque progettualità alle azioni che compiamo nel momento presente.
Curare all’interno della relazione d’aiuto non può prescindere dal prendersi cura e implica quindi un proiettare se stessi verso l’altro.
Il Modello Biomedico
All’interno del Modello Biomedico la cura è stata a lungo intesa (e talvolta in campo sanitario ancora lo è) come “l’eliminazione della malattia”, “la rimozione del sintomo”. All’interno di quest’ottica, laddove c’è una disfunzione organica nell’individuo, la salute viene a mancare. La persona è dunque vista come il suo sintomo. La malattia sostituisce l’individuo e la cura è volta al togliere “l’anomalia” per ripristinare ciò che è considerato normalità.
Questa prospettiva è stata superata, almeno concettualmente, quando l’OMS nel 1948 ha definito la salute “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia“. Tuttavia nella pratica medica si rincontra ancora oggi un’impostazione più orientata all’intervento sulla malattia piuttosto che sulla salute.
Il Modello Bio-Psico-Sociale
Nel 1977, in contrapposizione al Modello Biomedico, viene proposto da Engel il Modello Bio-psico-sociale. Esso non si limita alla sfera organica nell’inquadramento degli stati di salute o di malattia. Infatti afferma che essi sono la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali.
Quello Bio-psico-sociale è dunque un modello olistico, derivante dalla consapevolezza che la globalità del sistema non è riconducibile alla somma delle sue parti. Pertanto all’interno di questo modello, l’interezza della persona non è più sostituita dal suo sintomo e la presenza della malattia, non più intesa come disfunzione soltanto organica, non esclude stati di salute.
La relazione d’aiuto
A partire dal contributo dell’OMS e dal modello proposto da Engel, ecco che il concetto di cura si trasforma nel “prendersi cura”, ovvero in un atto che è volto ad aggiungere e non solo a togliere, che si apre a possibilità e non si chiude incontrando il “difetto”.
“Avere cura” è un’espressione dal doppio significato: può indicare sia il riceverla che il “donarla”.
Avere cura è dunque, prima di tutto, l’incontro di due persone. Infatti la relazione d’aiuto diviene possibile solo attraverso la reciprocità che si dispiega nell’esistere insieme, data dall’avere appunto un medesimo bisogno: avere cura.
L’avere cura si realizza nel momento presente, ma come sottolineava Heiddeger ci proietta in avanti, perché non è la semplice riparazione meccanica di un malfunzionamento, ma piuttosto un progetto da costruire insieme. E’ un incontro che poggia sullo scambio reciproco, dove chi offre aiuto, crea con l’altro, a partire dalle potenzialità, andando alla scoperta di risorse e non solo di deficit.